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Non so stare senza di te: quando la dipendenza affettiva si traveste d’amore!

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    nocitovalentina
  • 13 ore fa
  • Tempo di lettura: 2 min

Amare non è guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione.
Antoine de Saint-Exupéry

Eppure, nella dipendenza affettiva, lo sguardo si perde. Non si guarda più né l’altro né una direzione comune, ma ci si aggrappa all’altro come a una zattera in mezzo alla tempesta. La relazione diventa l’unico contenitore possibile di identità, sicurezza e valore personale. Ma cos’è davvero la dipendenza affettiva? E cosa la distingue dall’amore sano?


Quando il bisogno traveste l’amore


La dipendenza affettiva è una condizione relazionale nella quale una persona vive il legame amoroso in modo simbiotico, totalizzante e, spesso, autodistruttivo. Non si tratta semplicemente di amare intensamente, ma di *non riuscire a funzionare senza l’altro*. Il partner (spesso idealizzato) diventa il fulcro dell’esistenza, e ogni minima minaccia di distanza o rottura genera ansia, angoscia, sensi di colpa e comportamenti compulsivi.


Secondo Robin Norwood, nel suo celebre libro “Donne che amano troppo” (1985), molte persone confondono l’amore con la necessità di essere amate, accettate o salvate. L’amore, in questo caso, non nasce dalla libertà, ma dalla paura: la paura dell’abbandono, del vuoto, del non essere abbastanza.



Il paradosso della dipendenza: dare tutto per non perdere niente


Chi vive in una relazione dipendente tende a rinunciare progressivamente a se stesso: ai propri desideri, alla propria autonomia, perfino ai propri valori. Ogni gesto dell’altro viene analizzato con ansia, ogni distanza interpretata come rifiuto. Questo crea un circolo vizioso: più si tenta di trattenere l’altro, più l’altro può allontanarsi, accentuando il senso di vuoto e l’auto-svalutazione.


«L’amore maturo dice: ‘Ho bisogno di te perché ti amo.’

L’amore immaturo dice: ‘Ti amo perché ho bisogno di te.’»

Cit. Erich Fromm, L’arte di amare, 1956


Come se ne esce?


Uscire dalla dipendenza affettiva non è un atto improvviso, ma un percorso graduale di consapevolezza e ricostruzione interiore. Alcuni passaggi fondamentali sono:


1. Riconoscere la dipendenza come schema relazionale disfunzionale, non come colpa.

2. Lavorare sull’autostima, sulla capacità di tollerare la solitudine e sulla riconnessione con sé.

3. Recuperare il proprio spazio personale, i propri confini, i propri desideri.


L’accompagnamento psicoterapeutico è spesso fondamentale per elaborare le radici profonde di questo schema e per apprendere modalità relazionali più sane e nutrienti.


Perché parlarne oggi?


Viviamo in una società che confonde spesso l’amore con la fusione, l’“essere tutto per l’altro” con l’intimità. Ma l’amore, quello autentico, si nutre di libertà, di reciprocità e di presenza, non di dipendenza.


In un tempo in cui i legami sono tanto desiderati quanto temuti, parlare di dipendenza affettiva significa anche “riaprire lo spazio per una riflessione etica sul modo in cui stiamo con l’altro e con noi stessi”. È un invito a distinguere tra legame e incastro, tra desiderio e bisogno, tra amore e paura.


Come scrive Rainer Maria Rilke:

«Amare è un compito per due solitudini che si proteggono, si delimitano e si salutano.»




Bibliografia:

- Norwood, R. (1985). Donne che amano troppo. Feltrinelli.

- Fromm, E. (1956). L’arte di amare.Mondadori.


 
 
 

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